Benvenuti nel Regno
Un viaggio iniziatico sui links per riscoprire il significato del gioco più bello del mondo
Se anche voi come Ben Hogan siete convinti che “tutto ciò di cui un golfista ha bisogno sono più ore di luce”, allora sarete d’accordo che un buon modo per allungare le giornate golfistiche e ritrovare anche a casa il piacere del green quando non è possibile andare in campo, sia quello di immergersi in una storia di golf. Le gare in tivù sono appassionanti (in alcuni momenti) e noiosissime (in tantissimi altri), e non per tutti è facile riuscire a immedesimarsi in un DeChambeau che con un drive attraversa metà pianeta terra. I film sul golf si contano sulle dita di una sola mano e sono sempre gli stessi. Ma per fortuna ci sono i libri e, se proprio non avete più voglia di leggere l’ennesima versione dei “segreti per migliorare il tuo swing”, ci sono i romanzi.
E il romanzo che non può mancare nella libreria di ogni golfista è indubbiamente “Golf in the Kingdom” di Michael Murphy. 20 milioni di copie vendute al mondo, tradotto in 19 lingue (evidentemente l’italiano era la ventesima perché non c’è traccia di un’edizione italiana), diritti cinematografici immediatamente acquistati da Clint Eastwood che voleva Sean Connery nel ruolo del maestro Shivas Irons, una community globale di golfisti mistici creatasi spontaneamente che ogni anno si dà appuntamento in Scozia, per giocare sui links del “Regno”. Un successo clamoroso in tutto il mondo per questo romanzo, apparentemente senza grosse pretese letterarie, ma denso di contenuti illuminanti. Un film fu poi realizzato dal romanzo, nel 2009, e aveva tra i protagonisti Malcom Mac Dowell, quello di Arancia Meccanica, ma non fu un successo.
Tutto ha inizio in un mattino di sole e di vento quando Michael, studente di filosofia in viaggio per l’India diretto all’ashram di Aurobindo, fa tappa in Scozia e si presenta alla Clubhouse per giocare un campo dal nome immaginario: Burningbush Links. Un caddie gli indica una coppia sul tee di partenza suggerendogli di unirsi a loro. I due sono un maturo allievo baffuto e uno strambo e misterioso maestro: Shivas Irons. Parte così questo straordinario romanzo, in parte autobiografico, per raccontare le 24 ore trascorse da Michael Murphy sui links dell’Old Course di St.Andrews – “il Regno” ovviamente non poteva essere altrove – in compagnia dell’enigmatico guru del golf. L’intera giornata trascorre di buca in buca e ogni buca è una rivelazione spirituale. Ogni difficoltà incontrata in campo, ogni ostacolo, per quanto insignificante possa apparire, ogni movimento del corpo nello swing diventa l’occasione per irrompere in una dimensione trascendentale. Il golf come metafora della vita e il golf come veicolo per accedere a una realtà vasta come l’universo. Perché “il golf è abbastanza lento da permetterci di concentrare la nostra mente e abbastanza complicato da richiederci di usare ogni parte del nostro corpo”. La giornata sui links e l’incredibile notte che ne seguirà costituiscono il viaggio iniziatico che Michael Murphy intraprende sotto la guida del suo bizzarro maestro.
Una delle cose più belle del libro è proprio il rapporto che si viene a creare tra i due personaggi. La storia è appassionante, in alcuni punti assume addirittura le tinte di un giallo. Non è mai didascalica, mai stucchevole, noiosa o scolastica come alcuni romanzi di formazione riescono a essere fin dalle prime pagine.
È il golf il grande protagonista della storia.
I personaggi, le loro azioni, le situazioni in cui vengono a trovarsi, le atmosfere che Murphy dipinge con maestria servono unicamente per restituire al gioco il suo significato più nobile e profondo, servono a riportare il gioco nel suo “regno”.
(Golf in the Kingdom, Penguin Books 1997, 224 pagine. Prima edizione The Viking Press 1972)
@Carlo Simonetti